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Sidney Costantino Sonnino (Pisa, 11 marzo 1847 – Roma, 24 novembre 1922).
Barone, nato in una nobile famiglia da padre di origini ebraiche e da madre britannica, era anglicano. Ministro delle Finanze e Ministro del Tesoro del Regno d’Italia dal 1893 al 1896, riporto' il bilancio dello Stato al pareggio e si oppose alla dispendiosa politica aggressiva di Francesco Crispi in Etiopia. Liberal-conservatore ed esponente della Destra storica, nel 1897, di fronte alle minacce del clericalismo e del socialismo, sostenne la necessita' di un maggiore rispetto dello Statuto albertino con una piena restaurazione del potere esecutivo da parte del re. Fu Presidente del Consiglio dei ministri dall'8 febbraio al 29 maggio 1906 e dall'11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910. Nel 1914 divenne Ministro degli Esteri e con tale carica, che conservo' fino al 1919, condusse le trattative che portarono alla firma del Patto di Londra con cui l'Italia si impegnava ad entrare nella Prima guerra mondiale contro l’Austria. Dopo la vittoria, alla Conferenza di pace di Parigi (1919), partecipo' alle trattative rivendicando per l’Italia i territori promessi dal Patto di Londra contro la posizione degli Stati Uniti.
Le origini e la gioventu' (1847- 1877)
Sidney Sonnino era figlio di un commerciante di origine ebraica residente per lunghi anni in Egitto, Isacco Saul Sonnino (1803-1878). Sua madre, britannica, era Georgiana Sophia Arnaud Sonnino, nata Dudley (1823-1907). Sidney, di confessione anglicana, eredito' il nome dal nonno materno, Sidney Tery. Con il fratello Giorgio (1844-1921) consegui' con brillanti risultati l’ammissione al secondo corso di Liceo a Firenze e successivamente la licenza. Tornato a Pisa nel 1862, ridusse i corsi universitari a tre anni cosi' come aveva ridotto a due il liceo. Laureatosi a pieni voti e con lode nel 1865 in Diritto internazionale, manifesto' il suo futuro temperamento nella ritrosia a prendere parte al banchetto di rito e a prestarsi alla fotografia di gruppo. Nel 1866, di fronte all’imminente guerra contro l’Austria, il diciannovenne Sonnino vedeva come fondamentali i collegamenti fra politica interna ed estera, rammaricandosi che l’Italia fosse tanto giovane e debole internamente in un momento cosi' delicato. Dopo la delusione per la modesta prova bellica del suo Paese nella terza guerra di indipendenza e dopo aver tentato la professione di avvocato, grazie alla sua brillante laurea in Diritto internazionale, nel 1867 opto' per la diplomazia. Fu alle ambasciate di Madrid, Vienna, Berlino e si trovo' in Francia nel turbinoso periodo del 1870 (Guerra franco-prussiana). Fu di nuovo a Madrid e poi trasferito a San Pietroburgo, la cui residenza non volle accettare abbandonando nel 1873 la diplomazia. L’anno prima, intanto, aveva fatto pubblicare “Del governo rappresentativo in Italia”, dove gia' si esprimeva negativamente sugli eccessi del parlamentarismo e sui compromessi a cui il capo del governo doveva ricorrere per mantenere la carica. Compromessi e sotterfugi che non consentivano all’esecutivo di seguire una linea politica.
L’inchiesta sulla Sicilia
Tornato in Italia, riprese gli studi politici interessandosi alla condizione dei contadini della sua regione, la Toscana. Tradusse varie opere di autori anglosassoni fra cui “Principi fondamentali dell’Economia politica” dell’irlandese John Elliott Cairnes (1823-1875). Allievo dello storico e meridionalista Pasquale Villari, Sonnino nel 1876 parti' per la Sicilia allo scopo di studiare la situazione dell’agricoltura locale, anche nel timore che un mancato miglioramento della condizione delle masse rurali avrebbe portato allo scontro di classe. Il risultato fu l’inchiesta, redatta con l’amico Leopoldo Franchetti, “La Sicilia nel 1876” (1877), che costitui' la base di tutti gli studi successivi e dei provvedimenti legislativi sulla materia. In essa vennero evidenziati gli aspetti negativi del latifondo e denunciato l’assenteismo dei proprietari terrieri dell’Italia meridionale.
Deputato e giornalista (1878-1893)
Per esporre con maggiore efficacia le sue tesi, Sonnino fondo' assieme a Franchetti nel 1878 la rivista “Rassegna settimanale”, in cui sostenne il mantenimento della societa' nella forma dell’epoca, con un potere forte, ma a condizione di graduali concessioni di riforme sociali. Dopo due anni il giornalista Sonnino approdo' definitivamente alla politica, venendo eletto deputato per il seggio di San Casciano in Val di Pesa nella XIV legislatura il 16 maggio 1880. Schierandosi con la destra moderata fu rieletto nel Collegio IV di Firenze (che comprendeva quello d’origine) fino alla XXIV legislatura inclusa (1913). Del primo periodo in Parlamento si segnalano diversi interventi a favore della classe contadina, come il discorso del 7 maggio 1883 che denunciava le condizioni dei lavoratori del riso e piu' ancora dei miserabili della campagna romana, costretti a vivere in luride grotte senza luce. Considerato importante anche il suo discorso del luglio 1890, sulle leggi sociali, nel quale con osservazione dei fatti, ammoni' i ricchi oziosi definendoli “vera piaga corruttrice della societa'”. Ancora il 24 aprile 1883 argomento' in Parlamento sulle condizioni sanitarie delle abitazioni rurali in alcune province del Regno; e il 28 aprile 1891, a proposito della legge per il Risanamento di Napoli, invoco' abitazioni salubri per la povera gente.
La Politica estera
Diffidente per quello che avrebbe rappresentato l’influenza della Terza Repubblica francese sul Regno d’Italia, Sonnino in quegli anni appoggio' risolutamente l’idea di far uscire il suo Paese dall’isolamento con l’ingresso in un’alleanza con Austria e Germania. Appena eletto deputato, gia' il 29 maggio 1881, nella sua “Rassegna settimanale” esaminava le questioni di Trieste e Trento dimostrandosi contrario all’irredentismo. Nel discorso in Parlamento del 6 dicembre dello stesso 1881 si spinse oltre, dichiarando che chi vuole la pace deve mostrarsi pronto alla guerra auspicando un patto con Austria e Germania. Cio' in linea con il governo Depretis che concluse la Triplice alleanza l’anno dopo nello spirito difensivo auspicato da Sonnino. In quello stesso anno pero' egli defini' un’occasione mancata l’invito inglese, disatteso da Depretis, di collaborare ad una spedizione europea in Egitto devastato dalle sommosse. Nel 1885, d’altronde, Sonnino si dichiaro' favorevole al colonialismo. Egli condivideva su questi temi le idee di Francesco Crispi del quale appoggio' la politica filo-germanica quando nel 1887 quest’ultimo divenne Presidente del Consiglio.
Sottosegretario
Ma gli Affari Esteri avrebbero impegnato Sonnino a tempo pieno solo diversi anni dopo. Sin dalla sua seconda elezione infatti (novembre 1882) egli fu chiamato a far parte della Giunta generale del Bilancio, la quale gli affido' il delicato compito della relazione delle Entrate. Nella successiva legislatura (la XVI) fu ancora nominato l’8 gennaio 1889 Sottosegretario di Stato per il Tesoro, entrando cosi' nel primo governo di Francesco Crispi. In questo breve periodo (che duro' fino al 9 marzo 1889) Sonnino subi' l’influsso del ministro Costantino Perazzi il cui rigore gli fu da guida nelle successive cariche.
Ministro delle Finanze e del Tesoro (1893-1896)
Caduto il primo governo di Giolitti nel 1893 per lo scandalo della Banca Romana, dopo concitate trattative con Zanardelli, Re Umberto decise di optare per Crispi che il 15 dicembre 1893 formo' il suo terzo governo. Sidney Sonnino fu nominato Ministro delle Finanze e Ministro del Tesoro.
Il risanamento economico
Due mesi dopo, di fronte alla grave crisi finanziaria che colpiva il Paese, il 21 febbraio 1894 il neo-ministro Sonnino annuncio' alla Camera il suo programma di risanamento. Tenendo conto che il deficit ammontava a 155 milioni di lire, che non si poteva tagliare spese che per 27 milioni e che l’Italia non poteva contrarre prestiti, egli decise, coraggiosamente, di aumentare le tasse. Le sue proposte si sforzarono tuttavia di essere socialmente eque. Egli propose a carico delle classi ricche un’imposta sul reddito e la reintroduzione dei due decimi dell’imposta fondiaria; un aumento della tassa sul sale, che avrebbe colpito le classi meno abbienti; e infine un aumento dell’imposta sugli interessi dei Buoni del Tesoro, a carico soprattutto delle classi medie. Il dibattito parlamentare sul programma di Sonnino si apri' il 21 maggio 1894. L’opposizione alle sue proposte fu vigorosa, sia da parte dell’estrema sinistra sia da parte dei proprietari terrieri. Crispi fece appello al patriottismo dei deputati, ma la Camera si spacco' e il governo ottenne un’esigua maggioranza. La sera del 4 giugno Sonnino si rese conto che la sua posizione stava divenendo insostenibile e diede le dimissioni. Immediatamente Crispi annuncio' la caduta dell’intero governo. Re Umberto rinnovo' il mandato a Crispi che il 14 giugno 1894 presento' il suo nuovo esecutivo alla Camera. Crispi sostitui' Sonnino con Boselli alle Finanze e mantenne il primo al Tesoro. Due giorni dopo, il 16 giugno, subi' un attentato che falli'. L'episodio rafforzo' enormemente la posizione di Crispi e a luglio si pote' approvare la tassa del 20% sugli interessi sui Buoni del Tesoro. Questo provvedimento, chiave di volta della legge di Sonnino, fu il modo per arrivare al pareggio del bilancio. Si tratto' di una vittoria che allontano' l’Italia dalla crisi e preparo' la via della ripresa economica. A tale riguardo Sonnino aveva voluto introdurre la riforma anche per incoraggiare gli italiani ad investire in titoli meno sicuri ma piu' vantaggiosi per l’imprenditoria privata, come i titoli industriali.
La crisi con la Francia
La grave crisi diplomatica fra l’Italia e l’Etiopia, confinante con la colonia italiana dell’Eritrea che si determino' dal 1890, porto' anche ad una crisi europea a causa dei rifornimenti d’armi che la Francia elargiva all’imperatore etiope Menelik II. Con l’inizio della Campagna d’Africa, Sonnino, nel 1895, difese per ragioni finanziarie una politica coloniale di prudenza. Crispi invece, nel timore di uno scontro anche con la Francia, il 24 ottobre 1895 parlo' di potenziare il programma degli armamenti. Cio' era finanziariamente impossibile ribatte' Sonnino, visto che il governo doveva difendere il pareggio di bilancio, che tutti i risparmi erano gia' stati fatti e che era politicamente impossibile aumentare le tasse. Dopo ulteriori insistenze tuttavia, il 13 novembre, il Ministro del Tesoro acconsenti' ad un esborso di 3 milioni per l’esercito e 1 milione per la marina (cifre irrisorie se paragonate a quelle della Campagna d’Africa in corso). La guerra europea, alla fine, non ci fu.
La guerra di Abissinia
Nel gennaio del 1895 intanto le truppe italiane erano entrate nella Regione di Tigre' in Etiopia settentrionale. Dopo la sconfitta dell’Amba Alagi a dicembre, Crispi appronto' i piani per richiamare altri 25.000 uomini alle armi. Sonnino, non informato preventivamente, chiese le dimissioni ma Crispi le respinse assicurando il ministro che l’esercito si sarebbe tenuto sulla difensiva. Con l’occupazione etiope dell’avamposto italiano di Macalle' (gennaio 1896), Crispi fu sopraffatto dall’ambizione e parlo' di ottenere una vittoria decisiva. La stampa montava l’opinione pubblica e dopo la richiesta di ulteriori rinforzi, il 7 febbraio 1896 Sonnino ebbe un grave alterco con Crispi. Il giorno dopo in un Consiglio dei Ministri “tempestosissimo” Sonnino espose le maggiori spese che si richiedevano per la prosecuzione della Campagna: 64 milioni non compresi nel bilancio, e combatte' vivamente i progetti di altre spedizioni. Di fronte alle offerte di pace del nemico, intanto pervenute, sottolineo' l’importanza di dimostrare che la colpa di ogni ulteriore prosecuzione della guerra non doveva apparire dell’Italia. Crispi tento' di nascondere l'esistenza delle offerte di pace e accuso' Sonnino di aver negato i mezzi finanziari incolpandolo degli avvenimenti. Sonnino ribatte' che la guerra era stata annunciata come difensiva e fu sostenuto dai ministri Saracco e Morin. Al termine del Consiglio, durato quattro ore, si delibero' che il comandante della spedizione Baratieri avrebbe bloccato l’avanzata delle truppe su Assab e iniziato le trattative con gli etiopi. Interrotte quasi subito queste ultime, Baratieri propose di ritirarsi. Il 21 febbraio 1896, di fronte alle dichiarazioni del Ministro della Guerra Mocenni che senza ulteriori rinforzi si rischiava la catastrofe, Sonnino accetto' le decisioni del Consiglio dei Ministri per una sostituzione di Baratieri e per l’invio di altri 10.000 soldati. Crispi lo ringrazio' e propose una spedizione nell’Harar o in Somalia, ma Sonnino non ne volle sapere dicendosi preoccupato unicamente di salvare la colonia dell’Eritrea. Il primo marzo l’esercito italiano fu definitivamente sconfitto ad Adua e il governo Crispi cadde quattro giorni dopo e con lui l’incarico a Sonnino.
Torniamo allo Statuto (1897)
Offeso dal crollo di prestigio dell’Italia ed esasperato dai giochi di potere parlamentari, Sonnino riordino' le sue idee nell’articolo “Torniamo allo Statuto” in cui si chiedeva una lettura piu' restrittiva dello Statuto albertino allora in vigore come carta costituzionale del Paese. Nell’articolo, pubblicato il primo gennaio 1897 sulle pagine di “Nuova Antologia”, Sonnino sostenne che per salvare lo Stato liberale dal socialismo e dal clericalismo ed eliminare l’inefficienza delle istituzioni bisognava tornare ad una rigida interpretazione della Carta del 1848. Specificatamente auspico' una restaurazione dei poteri del re e una riaffermazione della responsabilita' del governo unicamente nei confronti del sovrano. L’articolo ebbe una notevole risonanza ma, per il suo contenuto anacronistico, non un seguito parlamentare.
I governi di Destra (1896-1900)
Dopo la caduta di Crispi si susseguirono dal marzo 1896 al giugno 1898 ben quattro governi guidati dall’esponente di Destra Antonio di Rudini' che alla fine si dimise di fronte ai gravi moti del maggio 1898 ai quali erano seguite le disposizioni di stato d'assedio. Durante questo periodo si sviluppo' la crisi di Creta che, ribellatasi nel 1897 all’Impero ottomano, ottenne uno statuto autonomo dopo l’intervento in suo favore di Gran Bretagna, Francia, Russia e Italia. Sonnino sostenne le ragioni dei rivoltosi affermando in un discorso in Parlamento (12 aprile 1897) la necessita' di mobilitarsi di fronte alla comunita' internazionale a favore di qualunque nazionalismo, trovando in questo principio le ragioni dell’esistenza del Regno d’Italia. Dopo la fallimentare esperienza di Rudini' prese la guida del Paese il generale Luigi Pelloux. Questa fu l’occasione per Sonnino (21 febbraio 1899) di schierarsi contro le leggi eccezionali promulgate da Rudini' e di tutte le regolamentazioni di stato d’assedio in tempo di pace. Il secondo governo Pelloux del 1899-1900 risenti' sensibilmente dell’indirizzo politico di Sonnino che ormai raccoglieva intorno a se' una buona parte dell’area conservatrice-liberale. Egli, nella breve vita del secondo governo Pelloux, si batte' principalmente per l’approvazione del decreto legge che sostituiva i provvedimenti bloccati dall’ostruzionismo parlamentare da lui considerato la negazione del diritto della maggioranza di decidere. Ma di fronte a questa e ad altre iniziative il governo dovette cedere ad una vera mobilitazione dei deputati.
A capo dell’opposizione conservatrice (1900-1906)
Con le elezioni del 1900, che registrarono un aumento dei socialisti, Umberto I affido' al moderato Giuseppe Saracco la guida del governo. Fu una delle sue ultime decisioni perche' il 29 luglio dello stesso anno fu assassinato. Durante questa legislatura (che duro' fino al 1904) e quella successiva Sonnino guido' l’opposizione liberal-conservatrice sostenuto dal quotidiano “Giornale d'Italia” che nacque nel novembre del 1901 da un suo progetto condiviso con Antonio Salandra. Durante il corso degli avvenimenti che, in quegli anni videro la diplomazia italiana sempre piu' avvicinarsi alla Francia, Sonnino passo' da una prima fase di diffidenza ad un giudizio negativo riguardo a tale politica. Rispetto al Ministro degli Esteri Prinetti egli infatti sosteneva uno stretto, sicuro e stabile rapporto con gli alleati della Triplice alleanza. In politica economica nel 1901 si manifesto' contrario alle tasse sui valori industriali e contrario alle tasse di successione, perche' contribuivano alla svalutazione della proprieta' immobiliare di quella parte del Paese, il Mezzogiorno, per il quale presento' in quel periodo un'importante riforma.
I Contratti agrari
Fra il 1900 e il 1902, infatti, Sonnino si fece iniziatore della proposta di legge sui Contratti agrari proponendo per il Mezzogiorno una larga riforma con la quale si chiedeva l’intervento dello Stato a difesa del colono costretto ad accettare contratti che lo privavano della giusta remunerazione. Il 26 novembre 1902 presento' la proposta di legge relativa ottenendo la firma di altri 35 deputati. Essa prevedeva la diminuzione dell’imposta fondiaria, la facilitazione del credito agrario, la diffusione dell’enfiteusi e il miglioramento dei contratti agrari allo scopo di combinare gli interessi dei contadini con quelli dei proprietari; veniva inoltre introdotto il principio della garanzia data dal proprietario ai prestiti fatti dai coloni. Ma il provvedimento non passo'. Rientrata la politica estera italiana nei ranghi dell’alleanza, nel 1904 Sonnino torno' ad interessarsi con passione alla questione rurale. Nel discorso del 13 febbraio, in riferimento alla presentazione di un disegno di legge del Presidente del Consiglio Zanardelli a favore della Basilicata, pur dichiarando il suo appoggio, critico' il provvedimento definendolo un’occasione mancata per risolvere i problemi strutturali del Mezzogiorno. Sonnino illustro' anche alcune proposte, fra le quali la promozione dell’enfiteusi.
Il primo governo Sonnino
Caduto il secondo governo Fortis all’inizio del 1906 dopo quattro crisi in cinque anni, Vittorio Emanuele III affido' il compito di formare un nuovo governo a Sidney Sonnino, oppositore della maggioranza giolittiana. Cio' fu possibile piu' per i disaccordi avvenuti nella maggioranza che per la possibilita' da parte del nuovo esecutivo di ottenere un consistente appoggio parlamentare. Sonnino fu quindi costretto, dopo lunghe trattative, a costituire una compagine eterogenea. Tuttavia, per i trascorsi di Sonnino, l’aspettativa nel campo delle riforme era notevole e, in buona parte, sopravvalutata vista la debolezza dell’appoggio parlamentare. Tale debolezza si concretizzo' sia nella novita' costituita dall’ingresso dei radicali nel governo, sia nel programma che poneva al centro dell’interesse la Questione meridionale, sia nell’appoggio esterno ed occasionale dei socialisti. A cio' si aggiungeva l’avversione da parte delle forze piu' dinamiche dell’economia e dei grandi proprietari terrieri meridionali. Il primo governo Sonnino ebbe infatti vita brevissima, durando dall’8 febbraio 1906 sino al 18 maggio seguente, giorno delle dimissioni. Tecnicamente l’esecutivo cadde per un puntiglio dello stesso Sonnino che chiese alla commissione parlamentare che si occupava del riscatto da lui stipulato per le Ferrovie Meridionali di riferire entro otto giorni. La proposta parve intesa a forzare la mano, ci furono delle proteste e delle richieste di rinvio ma Sonnino fu irremovibile e il parlamento gli tolse il consenso. In questo breve periodo al potere, Sonnino gesti' una buona parte dell’azione italiana alla Conferenza di Algeciras (16 gennaio - 7 aprile 1906) sulla diatriba franco-tedesca sul Marocco. In questa occasione egli condivise e appoggio' la linea di conciliazione e di amicizia con la Francia dell’inviato italiano Visconti Venosta.
Sulla Crisi bosniaca
Un ulteriore e significativo intervento in politica estera di Sonnino si ebbe in occasione dell’annessione austriaca della Bosnia nel 1908 senza che l’alleato italiano avesse avuto voce in capitolo ne' ricompense. A dicembre Sonnino si dichiaro' ancora sostenitore della Triplice alleanza, ma, aggiunse, rivolto all’Austria di auspicare maggiori reciproci riguardi fra alleati e, rivolto all’Italia, che viene piu' facilmente trascurato chi e' disarmato e i suoi interessi messi in secondo piano, nonostante le alleanze e i trattati che ha stipulato. Con questo spirito, fiducioso nel mezzo e nell'arma aerea, Sonnino fra il 1907 e il 1908 partecipo' a Roma alla fondazione del Club Aviatori che confluira' poi con un'analoga iniziativa milanese nell'Aero Club d'Italia nel 1911.
Il secondo governo Sonnino
Di fronte ad una forte opposizione dell’ala conservatrice del Parlamento che non accetto' alcune disposizioni di ordine economico, nel dicembre 1909 cadeva il terzo governo Giolitti. Di conseguenza fu indicato per la formazione del nuovo esecutivo l’onorevole Sonnino, che assunse la carica di Presidente del Consiglio l’11 dicembre 1909. La compagine dei ministri rispondeva alla causa per cui si era originata, era cioe' un governo prettamente conservatore. Forte dell’esperienza del breve governo precedente, Sonnino, temendo le trappole degli oppositori, non chiese il voto di fiducia, limitandosi a domandare che si aspettasse a giudicarlo dai fatti. Questa strada, all’epoca percorribile, era chiara ma meno adatta a vincolare i voti dei dubbiosi. Il programma fu esposto il 10 febbraio: vi si comprendevano tributi locali, istruzione, riduzione della ferma militare, Banca del Lavoro e istituzione del Ministero delle Ferrovie. Sonnino pero' dovette subito affrontare il problema delle convenzioni sulla riorganizzazione e il potenziamento dei trasporti marittimi. Su questo tema era caduto il precedente governo e, per evitare molte delle opposizioni, Sonnino propose una soluzione ridotta. Le resistenze, tuttavia, continuarono e il consiglio di Giolitti di rinviare la discussione per escogitare il modo di battere l’opposizione non fu accolto da Sonnino che il 31 marzo 1910, senza aspettare la votazione, presento' le dimissioni.
Dalla Guerra italo-turca allo scoppio della Grande guerra (1910-1914)
Fu ancora la politica estera, tuttavia, a distrarre Sonnino dalle sue delusioni parlamentari. Egli infatti fu particolarmente attivo prima e durante la Campagna militare che porto' l’Italia alla conquista della Libia ottomana. Nel 1911 ricopriva la carica di Ministro degli Esteri il Marchese di San Giuliano, che durante il primo governo Sonnino era stato inviato a Parigi come ambasciatore. Costui era fermamente intenzionato alla conquista della Libia e lottava con un titubante Giolitti a capo del suo quarto governo. San Giuliano mobilito' allora il fronte interno conservatore capeggiato da Sonnino. Quest’ultimo sostenne l’impresa attraverso il suo “Giornale d'Italia” e indirettamente attraverso il “Corriere della Sera” di cui era diventato il riferimento politico. L’influenza di Sonnino si esercito' anche sulle sorti della colonia appena conquistata. Il “Corriere della Sera” si schiero' infatti per la completa annessione e Sonnino si dichiaro' dello stesso avviso il 5 ottobre 1911, prima di imbarcarsi egli stesso per Tripoli. Il 5 novembre la Libia fu completamente annessa. Nel marzo del 1914 divenne presidente del Consiglio Antonio Salandra, conservatore, amico di Sonnino e suo ex ministro. Agli Affari esteri rimase San Giuliano che, dal 28 giugno 1914, data dell’attentato di Sarajevo, dovette gestire la difficile posizione dell’Italia di fronte alla crisi di luglio e di fronte allo scoppio della Prima guerra mondiale (28 luglio 1914). Nei primi giorni del conflitto San Giuliano e soprattutto Sonnino considerarono la possibilita', quasi la necessita', di scendere in campo al fianco degli alleati Austria e Germania. Tuttavia nei giorni successivi San Giuliano, forte delle sue buone relazioni con la Gran Bretagna e la Francia, comincio' a considerare la possibilita' di far cambiare rotta all’Italia, allo scopo di coronare le aspirazioni di unita' nazionale che un’amicizia con l’Austria avrebbe precluso. Le sue precarie condizioni di salute, pero', dopo la dichiarazione di neutralita' (3 agosto 1914) e un mese e mezzo di trattative, lo portarono alla morte (16 ottobre 1914). La carica di Ministro degli Esteri fu assunta ad interim da Salandra. Il 31 ottobre, anche il vecchio nemico dell’Italia nella Guerra italo-turca, l’Impero Ottomano, entrava in guerra, formando un’alleanza con Austria e Germania. In questo periodo Sonnino concretizzo' la sua passione per Dante Alighieri fondando nel 1913 la Casa di Dante in Roma (attiva tuttora) per la promulgazione e la diffusione della Divina Commedia.
Ministro degli Esteri (1914-1919)
Dopo la morte di San Giuliano, Salandra decise di passare a Sonnino, con cui aveva condiviso trent’anni di solidarieta' politica, l’incarico di Ministro agli Affari Esteri. Salandra riconobbe in lui la persona piu' adatta: colto, studioso, indipendente, consacrato alla politica, preparato nelle questioni di politica estera come in quelle di ogni altra questione dello Stato. Sonnino, dopo un momento di incertezza iniziale, accetto'. Il primo governo Salandra diede le dimissioni il 31 ottobre 1914 e il 5 novembre fu annunciato il secondo governo Salandra con Sonnino agli Affari Esteri.
Le trattative con Berchtold e Bulow
Fin dal luglio 1914 l’Italia aveva posto la questione che secondo l’articolo 7 della Triplice alleanza l’Austria avrebbe dovuto riconoscere dei compensi all’Italia per la sua guerra d’occupazione alla Serbia. La Germania, preoccupata di un disimpegno dell’Italia dalla Triplice alleanza, fini' per sostenere il punto di vista di Roma. Sonnino, in un telegramma per il Ministro degli Esteri austriaco Leopold Berchtold, datato 9 dicembre 1914, riprese il tema dei compensi sollecitando uno scambio di idee al riguardo e un concreto negoziato. Berchtold rispose che la guerra dell’Austria era difensiva in quanto la Serbia aveva intenzione di privare l’Austria della Bosnia. Ne', secondo Berchtold, si potevano considerare occupazioni vere e proprie quelle operate durante i combattimenti, quando i territori potevano essere abbandonati da un giorno all’altro. Con un nuovo telegramma datato 16 dicembre Sonnino rispondeva che essendo stato nominato perfino un governatore militare nella capitale della Serbia, Belgrado, le occupazioni rientravano nel contesto dei compensi previsti dall’articolo 7. Egli ricordava inoltre che durante la Guerra italo-turca l’Austria, appellandosi all’articolo 7 si era definita contraria (salvo ricevere compensi) a diverse operazioni militari dell’Italia la quale aveva dovuto rinunciarvi. In questa situazione di stallo la Germania decise di fare da mediatrice. L’ex Cancelliere tedesco ed ex ambasciatore in Italia Bernhard von Bulow, parti' da Berlino e il 18 dicembre 1914 incontro' Sonnino. Questi dichiaro' a Bulow che il Paese era per la neutralita', ma col presupposto che si potessero soddisfare alcune aspirazioni nazionali, intendendo con cio' compensi territoriali da parte dell’Austria. Il 30 dicembre Bulow torno' da Sonnino e l’ex Cancelliere chiese di limitare tutte le pretese dell’Italia al solo Trentino (la provincia di Trento) poiche' Trieste, l’altra aspirazione italiana, era considerata l’unico vero porto dell’Austria, il “polmone dell’Impero”.
Le trattative con Burian
All’Italia certamente non poteva bastare e si ando' avanti con sterili trattative fino al 12 febbraio 1915, quando Sonnino perse la pazienza e telegrafo' a Vienna ribadendo che l’Austria non aveva ancora risposto neanche sulla eventualita' di un accordo e che da quel momento riteneva una violazione all’articolo 7 dell’alleanza qualunque azione militare austriaca nei Balcani, cio' che avrebbe potuto “portare a gravi conseguenze”. Dopo ulteriori scambi di telegrammi e la sconfitta austriaca all’Assedio di Przemysl, il 27 marzo 1915 l’Austria formalizzo' la proposta di voler cedere una porzione del Tirolo Meridionale comprensiva anche della citta' di Trento. Cio' non convinse ne' Salandra, ne' Sonnino che l’8 aprile telegrafo' le controproposte italiane per il nuovo Ministro degli Esteri austriaco Stephan Burián. Esse comprendevano oltre alla cessione all’Italia del Trentino ai confini del 1811 e di alcune isole nell’Adriatico, un ampliamento dei confini orientali che avrebbero compreso Gorizia, la costituzione di Trieste come citta' autonoma e indipendente, il riconoscimento dell’Austria della sovranita' italiana su Valona, in Albania, e il disinteresse dell’Austria su quest’ultimo territorio (ottomano). Di contro l’Italia offriva all’Austria 200 milioni di lire italiane in oro come compenso per i territori ceduti e la sua neutralita' nei confronti sia dell’Austria che della Germania per tutto il periodo della guerra. Tali proposte furono in pratica rifiutate dall’Austria che si spinse poco oltre la sua proposta iniziale. Cosi', dopo altri scambi d’opinione, il 3 maggio 1915 Sonnino spediva a Vienna il telegramma con il quale l’Italia rompeva formalmente le trattative dichiarando senza piu' alcun effetto il trattato d’alleanza con l’Austria. Il 26 aprile 1915, infatti, l’Italia aveva firmato il Patto di Londra, con il quale si impegnava ad entrare nel conflitto al fianco dell’Intesa entro un mese. Ulteriori proposte dell’Austria vennero considerate da Sonnino e Salandra non soddisfacenti neanche nel caso in cui non fosse gia' stato firmato tale accordo.
I contatti con l’Intesa per l’intervento
Nella previsione che non si sarebbe arrivati ad un accordo definitivo con Austria e Germania, Sonnino, proseguendo la strada aperta da San Giuliano, il 16 febbraio 1915 spedi' via corriere all’ambasciatore a Londra Imperiali le condizioni, accettate le quali, l’Italia sarebbe entrata in guerra al fianco delle Potenze dell’Intesa. Il telegramma che autorizzava l’ambasciatore a leggere il contenuto del memorandum di Sonnino al Ministro degli Esteri britannico Edward Grey fu spedito il 3 marzo. Il giorno dopo Imperiali esegui' le disposizioni mettendo a conoscenza di Grey le intenzioni dell’Italia. Le condizioni principali erano le seguenti: obbligo per gli eventuali quattro futuri alleati (Gran Bretagna, Francia, Russia e Italia) di non concludere pace separata; concentrazione di forze russe ai confini austriaci; cooperazione delle flotte alleate; in caso di vittoria: cessione dall’Austria all’Italia del Trentino, del Tirolo Meridionale, di Trieste, di Gorizia, di Gradisca, dell’Istria, della Dalmazia e di varie isole dell’Adriatico; cessione dall’Impero ottomano all’Italia di Valona e territorio circostante; costituzione di uno Stato autonomo smilitarizzato in Albania centrale; congrua parte all’Italia in caso di ulteriore spartizione fra le potenze vincitrici dell’Impero ottomano o di concessioni economiche che lo riguardino; indennita' di guerra all’Italia; prestito di non meno di 50 milioni di Sterline all’Italia. La risposta delle potenze dell’Intesa si fece attendere fino al 21 marzo 1915 quando Grey la consegno' all’ambasciatore italiano Imperiali. Essa accoglieva sostanzialmente le condizioni italiane tranne che per la Dalmazia, sulla quale aveva gia' messo gli occhi la Serbia. Sonnino lo stesso giorno rispose risoluto che il motivo principale dell’eventuale entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa era il desiderio di liberarsi dalla situazione di inferiorita' nell’Adriatico con l’acquisizione della Dalmazia. Per il resto infatti l’Italia avrebbe potuto ottenere la maggior parte delle soddisfazioni alle sue aspirazioni nazionali dall’Austria, rimanendo fuori dal conflitto ed evitando i terribili rischi della guerra. Tuttavia, per venire incontro agli interlocutori, Sonnino e Salandra rinunciarono a Spalato. In quei giorni, inoltre, terminava l’Assedio di Przemysl con la vittoria russa e Sonnino si rese conto di dover concludere le trattative prima che il valore militare di un’entrata in guerra dell’Italia diminuisse consistentemente. Il Primo Ministro britannico Herbert Henry Asquith lo capi' e il 1º aprile comunico' un riassunto delle proposte dell’Intesa che accettava sostanzialmente le richieste del governo di Roma, ma prevedeva una riduzione dei siti strategici da assegnare all’Italia in Dalmazia. Il 3 aprile Sonnino telegrafo' a Imperiali a Londra: “Non ci e' possibile accettare emendamenti elencati da Asquith a nome Triplice Intesa. [...] Unica seria ragione per nostra partecipazione alla guerra [...] e' di assicurare il nostro predominio militare nell’Adriatico escludendo che vi possa avere o trovare una base navale qualsiasi altra potenza. [...]”.
Il Patto di Londra
Dopo altre perplessita' soprattutto della Russia, sollecitati dai capi militari che attribuivano massima importanza all’entrata in guerra dell’Italia, i governi dell’Intesa cedettero e il 25 aprile 1915 l’accordo era pronto. Le condizioni chieste dall’Italia erano state accolte tutte pressoche' nella forma iniziale, in cambio Sonnino propose l’entrata in guerra al fianco dell’Intesa ad un mese dalla firma. La Russia, che insisteva per un ingresso rapido dell’Italia, si oppose. Grey allora suggeri', e Sonnino accetto', che l’Italia sarebbe entrata in guerra il piu' presto possibile, ma non oltre un mese dalla firma dell’accordo. La Russia acconsenti' malvolentieri. Il 26 aprile 1915 l’accordo che impegnava l’Italia ad entrare nella Prima guerra mondiale al fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia fu firmato a Londra, alle ore 15. Rispettando i tempi, l’Italia dichiaro' guerra all’Austria il 23 maggio 1915. Eccettuato il “Libro verde” che comprendeva i documenti diplomatici delle relazioni fra Italia e Austria e che fu presentato da Sonnino al Parlamento il 20 maggio, non si ebbe notizia di altri contatti o accordi con altre Potenze, benche' intuibili. Solo alcuni parlamentari furono messi a conoscenza del Patto di Londra del quale il popolo italiano non ebbe notizia fin quasi la fine della guerra.
Durante la Prima guerra mondiale
Durante la guerra il governo Salandra, in relazione all’offensiva austriaca del Trentino del 1916, cadde e fu seguito dal governo di Paolo Boselli (18 giugno 1916) che riconfermo' Sonnino agli Esteri. Questi fu ancora confermato al suo posto da Vittorio Emanuele Orlando che divenne Presidente del Consiglio dopo Caporetto il 29 ottobre 1917 e il cui mandato duro' fino al 23 giugno 1919.
Il problema dei Balcani
Sonnino nel 1915 dovette tenere a bada Serbia e Montenegro i cui eserciti sconfinarono in Albania; indusse il Consiglio dei Ministri a dichiarare guerra alla Turchia (avvenuta il 21 agosto 1915) e temporeggio' su un’analoga azione contro la Germania; nello stesso tempo rifiuto' di fare concessioni alla Serbia coerentemente a quanto convenuto a Londra. Spinse inutilmente per l’entrata in guerra della Bulgaria contro la Turchia; ma si rifiuto' ancora di concedere importanti vantaggi alla Serbia affinche' questa consentisse compensi alla Bulgaria. Invito' le altre tre potenze dell’Intesa a garantire alla Bulgaria la Macedonia al termine della guerra, chiedendo di non impegnarsi subito anche con Serbia e Grecia. Il 6 settembre, tuttavia, la Bulgaria, mentre i ministri dell’Intesa discutevano ancora la proposta da inviarle, firmo' un trattato segreto di alleanza con gli Imperi centrali. Sonnino consiglio' fino all’ultimo di non rompere completamente con la Bulgaria, anche dopo che questa aveva mobilitato l’esercito (21 settembre), ma alla dichiarazione di guerra della Bulgaria alla Serbia (5 ottobre) approvo', in difesa di quest'ultima, la spedizione alleata di Salonicco.
Al convegno per la Turchia di San Giovanni di Moriana
A meta' settembre del 1916, Sonnino venne a conoscenza dei dettagli degli accordi precedenti e seguenti all’entrata in guerra dell’Italia fra Gran Bretagna, Francia e Russia riguardanti l’Asia Minore. In considerazione di una suddivisione equa delle sfere d’influenza alleate in Turchia prevista dal Patto di Londra, Sonnino protesto' e il 23 settembre ottenne l’impegno da parte della Gran Bretagna di non ritenere chiusa la questione fin quando non fosse stata definita la zona di competenza dell’Italia. Per stabilirla, nell’aprile del 1917, Sonnino si incontro' con il Primo Ministro britannico David Lloyd George e con il Presidente del Consiglio francese Alexandre Ribot a Saint-Jean-de-Maurienne, in Francia. In quella sede Lloyd George presento' una carta dell’Asia Minore proponendo per l’Italia la citta' di Smirne e un protettorato comprendente la parte settentrionale del vilayet (provincia) omonimo, una zona ancora piu' a nord e una porzione di territorio ad ovest di Mersin. Dopo ampie discussioni sia Sonnino che Ribot accettarono la proposta britannica. Sonnino ottenne inoltre Konya, oggetto di una precedente proposta britannica.
In cambio Lloyd George chiese all’Italia un contingente da mandare a Salonicco per dare il cambio alle truppe inglesi da schierare contro la Turchia, oppure un contingente italiano da mandare contro la Turchia. Sonnino rifiuto' dichiarando che sarebbe stato “vitalmente pericoloso” disimpegnare truppe dal fronte austriaco. Il 10 maggio arrivo' l’accettazione ufficiale del governo francese alle decisioni di Saint-Jean-de-Maurienne, ma, ancora a giugno Sonnino doveva denunciare “il contegno dilatorio” degli alleati per chiudere definitivamente la questione. Finalmente, il 27 luglio, fu trovato un compromesso con la Francia sul confine fra le zone italiana e francese e il 18 agosto a Londra fu firmato l’accordo che prevedeva per l’Italia una zona molto vasta in Anatolia meridionale comprendente Smirne, Aydin, Adalia e Konya. Oltre a Sonnino concordarono il testo definitivo Ribot e Pierre de Margerie (1861-1942) per la Francia, il Ministro degli Esteri Arthur Balfour e Robert Cecil per la Gran Bretagna, e Giacomo De Martino e l’ambasciatore Imperiali per l’Italia.
L’inattesa pubblicazione del Patto di Londra
Dalla primavera del 1917 si susseguirono, specie da parte britannica, proposte all’Italia di considerare la possibilita' di una pace con l’Austria. Cio' avrebbe incluso una revisione dei termini del Patto di Londra: Sonnino rifiuto', anche quando in agosto Papa Benedetto XV invito' i belligeranti ad accordarsi. Scoppiata la Rivoluzione russa, ci fu la pubblicazione da parte della stampa sovietica dal 23 novembre 1917 in poi degli atti dell’Intesa, fra cui il Patto di Londra che, come abbiamo visto, era segreto perfino alla maggioranza dei parlamentari italiani.
A dicembre, alla Camera, Sonnino dovette rispondere delle azioni sue e del governo Salandra. Il 13, il deputato Giacomo Ferri (1860-1930) fece notare che il 26 aprile 1915 l’Italia si impegno' ad entrare in guerra contro l’Austria quando ancora era sua alleata. Con Vienna si disimpegno' infatti solo il 4 maggio. Non solo, ma poiche' il Patto di Londra prevedeva il conflitto sia con l’Austria che con la Germania, quest’ultima fu illusa fino al 28 agosto 1916 che l’Italia non le avrebbe dichiarato guerra. Il giorno dopo il deputato Alfredo Sandulli chiese le dimissioni di Sonnino e il 15 il deputato Guglielmo Gambarotta (1877-1961) chiese di affrettare la pace. Lo stesso giorno Sonnino ricevette l’attacco piu' grave dal socialista Giuseppe Emanuele Modigliani che lo accuso' di aver ingannato il Parlamento facendogli credere che la guerra sarebbe stata ristretta all’Austria. Modigliani dichiaro' inoltre che se Sonnino avesse detto tutto subito la sua politica sarebbe stata condannata.
La difesa del Patto di Londra in Parlamento
La risposta di Sonnino non si fece attendere. Alla Camera (riunita in comitato segreto) il 17 dicembre 1917, secondo gli appunti rinvenuti, Sonnino dichiaro' che il segreto diplomatico c’era sempre stato ed era indispensabile per non cadere in una condizione d’inferiorita'. L’atto di divulgazione commesso dai sovietici bastava a giustificare il piu' severo giudizio morale a loro carico. D’altra parte, sostenne, il primo passo decisivo per l’Unita' d'Italia consistette negli accordi di Plombie'res del 1859 che furono per l’appunto segreti. Ad ogni modo si dovevano mantenere gli accordi presi e quindi non si poteva rispondere a tutte le interrogazioni per non turbare negoziati ancora in corso o questioni ancora da regolarsi. Nel 1918 Sonnino sostenne la necessita' di salvare a tutti i costi l’alleanza con la Russia, sostenuta ormai solo dall’Ucraina e da qualche altro governo provvisorio. Rifiuto' l’idea che i governi locali antisovietici dovessero arrivare ad un compromesso con Pietrogrado e chiese di incoraggiarli a combattere i bolscevichi. Nonostante il crollo della Russia zarista e la Germania continuasse la guerra, l’Austria, il 3 novembre firmava la resa con tutte le potenze alleate. L’armistizio entro' in vigore il giorno dopo.
Alla Conferenza di pace di Parigi
Dopo la resa degli Imperi centrali, le potenze vincitrici si riunirono alla Conferenza di pace di Parigi (18 gennaio 1919 - 21 gennaio 1920). Tale convegno determino' il Trattato di Versailles che fu firmato il 28 giugno 1919 e che stabili' le clausole contro la Germania, e il Trattato di Saint-Germain che fu firmato il 10 settembre 1919 e che stabili' le clausole contro l’Austria. I capi di governo delle quattro maggiori potenze vincitrici: Clemenceau per la Francia, Lloyd George per la Gran Bretagna, Wilson per gli Stati Uniti e Orlando per l’Italia, con i loro piu' fidi collaboratori, costituirono un gruppo ristretto incaricato di discutere le questioni principali. Tra i collaboratori di Orlando figurava ovviamente Sonnino il quale, conoscendo l’inglese cosi' come Clemenceau, consenti' a tutto il gruppo di esprimersi e discutere nella lingua di Lloyd George e Wilson. Nei primi giorni della conferenza, il 21 gennaio, Lloyd George propose di invitare i bolscevichi al negoziato. Clemenceau e Sonnino si opposero non volendo concedere loro credibilita'. Il primo tuttavia, si disse disposto ad adeguarsi al volere degli alleati; Sonnino invece tenne duro e propose di radunare tutti i russi bianchi e di fornire loro le truppe necessarie. Quando pero' Lloyd George chiese quanti soldati poteva procurare ognuna delle nazioni rappresentate, la risposta di tutti fu evasiva. Avviati i negoziati, Sonnino insistette perche' le contrapposte rivendicazioni dell’Italia e quelle iugoslave fossero discusse solo dal gruppo ristretto di nazioni, il cosiddetto Consiglio supremo, temendo, giustamente, che un comitato di esperti piu' ampio si sarebbe preoccupato piu' della correttezza delle frontiere rispetto alle etnie locali che alle clausole del Patto di Londra. In questo periodo Sonnino, che rifiuto' anche di discutere su di un’eventuale impiccagione di Guglielmo II, si conquisto' presso gli alleati una fama di intransigente. Cosi' che quando a fine marzo il Consiglio supremo si ridusse ai soli quattro capi di governo, si disse che la decisione era stata presa per sbarazzarsi di Sonnino.
Contro il presidente statunitense Wilson
Sonnino non manco' tuttavia di rendersi partecipe dei negoziati, soprattutto quando il Presidente statunitense Wilson assunse posizioni contrarie alle richieste italiane. Wilson infatti, poiche' gli Stati Uniti non avevano partecipato alle trattative che avevano portato al Patto di Londra, si ritenne libero di contestarlo e di rifiutarlo. Tale accordo violava secondo il presidente degli Stati Uniti il principio dell’autodeterminazione dei popoli dato che all’Italia erano stati promessi territori abitati da slavi.
Fin dal 13 gennaio Wilson aveva informato Orlando che aveva raggiunto la conclusione che il Patto di Londra non fosse piu' valido e in questi termini la questione rimase ferma per alcune settimane. Sonnino, infatti, coerentemente con quanto stabilito con Francia e Gran Bretagna riteneva il Patto di Londra sacro. Il carattere intransigente del ministro italiano era accompagnato dalla estrema riservatezza e dal rifiuto di manovrare dietro le quinte per conto del suo Paese, convinto che “ricorrere a tale mezzo fosse un abbassarsi al livello di quei piccoli popoli che andavano mendicando territori all’opinione pubblica mondiale”.
Verso la fine di gennaio, il direttore del “Times” Wickham Steed (1871-1956) riferi' che Wilson aveva avuto un “colloquio tempestoso” con Sonnino “che pare abbia perduto la pazienza e sia arrivato a dire a Wilson di non immischiarsi negli affari europei, ma di pensare soltanto alla sua America”.
Il ritiro dell’Italia
Il 7 febbraio 1919, fu presentato alla conferenza il memorandum ufficiale italiano il quale riepilogava le richieste italiane. Esse erano le stesse di quelle del Patto di Londra, delle quali le uniche che furono accolte senza difficolta' furono quelle che assegnavano all’Italia il Trentino e il Sud Tirolo. Il 19 aprile 1919, il sabato prima di Pasqua, si apri' una discussione che sarebbe durata sei giorni di fila. Wilson sprono' i delegati italiani a pensare in termini nuovi ma questi rimasero sulle loro posizioni. Sonnino ribatte': “Dopo una guerra cosi' piena di enormi sacrifici, ove l’Italia ha avuto 500.000 morti e 900.000 mutilati, non e' concepibile dover ritornare ad una situazione peggiore di prima, perche' la stessa Austria-Ungheria, per impedire l’entrata dell’Italia in guerra, ci avrebbe concesso alcune isole della costa dalmata. Voi non vorreste darci nemmeno queste. Per il popolo italiano cio' sarebbe inspiegabile” definendo, poi, le conseguenze: “Non avremo il bolscevismo russo, ma l’anarchia”. Nello stesso tempo gli iugoslavi dichiararono di essere pronti a combattere qualora l’Italia avesse ottenuto Fiume o la costa dalmata. Wilson, risoluto a non cedere alcunche' della Dalmazia all’Italia, il 23 aprile 1919 invio' una dichiarazione ai giornali con le motivazioni per le quali riteneva che il Patto di Londra dovesse essere messo da parte. Orlando decise di abbandonare la conferenza e tornare in Italia il 24, Sonnino lo segui' dopo un paio di giorni.
La caduta del governo Orlando
Orlando e Sonnino il 5 maggio 1919 annunciarono che sarebbero tornati a Parigi, e lo fecero, ma il clima ormai era compromesso, sia in Francia che in Italia. Il 23 giugno, proprio su di una proposta di politica estera, il governo Orlando si dimetteva, ma Sonnino e altri due membri della delegazione italiana si fermarono a Parigi per firmare il Trattato di Versailles (28 giugno 1919). Rispetto al Patto di Londra l’Italia otteneva solo i territori geograficamente italiani che avrebbero consentito in futuro una migliore difesa della nazione da parte dell’Austria che, tuttavia, scomparve completamente come potenza. Tali territori erano: il Trentino e il Sud Tirolo, oltre all'area comprendente Trieste, Gorizia, Gradisca e l’Istria. Nulla o quasi ottenne riguardo a quanto pattuito sull’Adriatico e la Dalmazia (materia del Trattato di Rapallo del 1920), ne' riguardo all’Impero ottomano.
Gli ultimi tempi (1919-1922)
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Caduto il governo Orlando, gli succedette quello del radicale Francesco Saverio Nitti che assegno' la carica di Ministro degli Esteri a Tommaso Tittoni.
Amareggiato dalla conclusione della Conferenza di Parigi, il settantaduenne Sonnino si ritiro' dalla vita politica e non volle presentarsi alle elezioni per la XXV legislatura (iniziata nel dicembre 1919).
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Ne' la nomina a Senatore a vita, conferitagli il 3 ottobre 1920, lo incito' a rientrare fattivamente in politica. Negli ultimi tempi si dedico' maggiormente agli studi danteschi che lo avevano sempre appassionato e mori', il 24 novembre 1922, a Roma.
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Ai suoi solenni funerali, che si svolsero il giorno seguente nella capitale, parteciparono il neo presidente del Consiglio Benito Mussolini e i presidenti di Camera e Senato Enrico De Nicola e Tommaso Tittoni; al passaggio del feretro i fascisti gli resero omaggio con il saluto romano. La sua salma riposa in una grotta scavata in una scogliera a picco sul mare, presso il castello che lo stesso Sonnino fece costruire come sua residenza a Quercianella, vicino Livorno.
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