...dalla Costa Fiorita di Quercianella
a cura di Luigi Ciompi
Edizione Stella del Mare Livorno, 1991
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PRIMA DELL’ETA’ DEL FERRO
Un altro gruppo di tombe della prima età del ferro, il più importante senza dubbio per le vicinanze di Livorno, fu scoperto a Quercianella molti anni addietro, forse nel 1851, in un podere della famiglia Gower e precisamente in un campicello prossimo al mare, noto ai terrazzani col nome di cimitero. Non v’è alcun ricordo storico, che giustifichi una tale denominazione, cosicchè non è fuor di luogo il credere, che possa, per lontanissima tradizione, derivare dall’uso, al quale il campo stesso fu dedicato dalle primitive popolazioni.
La scoperta avvenne in modo accidentale nel dissodare un terreno, che da tempo immemorabile era boschivo. Su di essa non potei raccogliere notizie molto esatte, non esistendo alcuno di coloro che ne furono testimoni. Ma le cose più importanti, che vi furono raccolte, vennero conservate dal sig.Giorgio Gower, ora defunto, e quindi donate dal di lui figlio Abele, nel 1880, al sig. Chiellini, insieme a molti altri oggetti etruschi e romani, trovati pure nelle vicinanze di Quercianella.
Nella primavera del 1884 andai io stesso, in compagnia del sig.Chiellini, coll’idea di tentare qualche scavo nel detto campicello; ma non ebbi molta fortuna, essendovi il terreno ormai troppo rimaneggiato dalla coltivazione fino a considerevole profondità. In ogni modo potei accertare, che vi esiste una quantità non comune di oggetti frammentati. Sono per massima parte vasi etruschi e romani; vi trovai però qualche frammento di urne caratteristiche del Periodo archeologico di Villanova, e questo è ciò che più mi importava, onde avere una prova materiale del primo rinvenimento, essendone troppo vago il ricordo. Intorno alle tombe di Quercianella pubblicai già una estesa relazione (P.Mantovani: “Oggetti del periodo Archeologico di Villanova trovati a Quercianella presso Livorno”; Bull. Di Pal. It., Anno X, n. 5 e 6, colle Tav. 4a e 5a), dalla quale, nulla avendo ora di nuovo da aggiungere, tolgo la descrizione delle cose migliori, che ne facevano parte.
I - Quattro urne, complete o quasi, del ben noto tipo italico, che caratterizza il periodo, detto di Villanova. Tre di queste (n. 2, 3 e 5, Tav. A) sono eguali fra loro per forma e dimensione, ed hanno una sola ansa orizzontale in corrispondenza del maggiore rigonfiamento. La quarta (n.l, Tav. B) è più piccola e non ha manico; la forma però è la stessa. In tutte si ha il solito ornamento di lineette graffite divise in due zone, una ventrale e l’altra in prossimità al collo. Esse rappresentano, o un semplice meandro, oppure una combinazione del meandro con linee a zig-zag.
Le lineette sono sempre riunite in fasci di 3, 4 o 5 e dall’esatto parallelismo, che mantengono fra loro, si può credere che siano state impresse con punte collegate. Nell’urna minore è ornato anche l’interno del labbro. Nell’urna n.5 le linee sono qua e là ripiene di una sostanza biancastra, che, come fu già osservato in urne consimili d’altre località, rappresenta una specie di smaltatura, destinata a far meglio risaltare il disegno sul fondo nero del vaso.
II - Una quinta urna grande di forma globulare (n.4, Tav. A) con ansa orizzontale a due terzi circa dall’altezza, ove ha il maggior diametro. Anch’essa, come le descritte, è ornata, ma di linee punteggiate riunite sempre in fascio di cinque, Esse formano una semplice fascia presso il labbro, ed un largo zig-zag sopra la metà del ventre.
La parte interna del labbro è pure ornata di lineette punteggiate, che vi compongono tanti triangoli. Nella punteggiatura è ovunque conservato lo smalto bianco, simile a quello di cui già feci cenno per il n.5.
Quest’urna è del tutto uguale ad alcune delle antichissime, trovate dal Chierici e dallo scrivente nel sepolcreto di Bismantova (G. Chierici, Bull. di Pal. It., Anno I, pag. 42 e Anno II, pag. 242). Esse precedono senza dubbio l’urna tipica di Villanova. Lo speciale ornamento a punteggiature si può credere fatto sulla terra ancor molle mediante un filo metallico torto. A Bismantova, come giustamente osserva il Chierici, sono frequenti le fibule ad arco semplice e le torqui, che possono aver servito per tale lavoro. A Quercianella non se ne trovarono; ma conviene avvertire, che per difetto di attenta sorveglianza furono conservati pochissimi dei piccoli oggetti metallici, che dovevano esser contenuti nelle urne, o collocati accanto da esse, come si é sempre osservato in tombe coeve.
III - Porzione di altre due urne, una delle quali di forma tipica e l’altra
eguale alla n.4.
IV – Un’urna di piccole dimensioni (n.7, Tav. A) di forma tipica, ma
priva di manico e di ornamentazione.
V - Una ciotola-coperchio intera (n.l, Tav. A) e porzione di altra eguale. Sono della solita forma, caratteristica di tutti i sepolcri congeneri, hanno una sola ansa orizzontale e però come sempre, riproducono la porzione inferiore del vaso urna. La ciotola intera, di cui ho dato la figura, è ornata da una fascia di linee graffite e puntini, che sembra rappresentare rozzamente la figura simbolica di un serpe. Anche qui nel graffito è ben conservata la smaltatura bianca, come nelle urne già descritte.
Tutti i vasi, dei quali ho fatto menzione fino ad ora, sono fatti a mano, con un impasto di terra non molto fine e cotta imperfettamente, cosicchè a tratti è nerastra e a tratti rossastra. Furono poi, dopo una prima cottura, ricoperti di uno straterello di argilla fine, sulla quale, mentre era ancora molle, venne tracciato il disegno di linee o punti, e poscia furono rimessi al fuoco per aumentarne la consistenza. Si ha dunque in tutti la consueta ingubbiatura nerastra e lucida, che si osserva sempre nelle urne delle Necropoli italiche di questo periodo.
VI - Sei piccoli vasetti eguali fra loro, fatti a mano di terra grossolana e privi d’ingubbiatura. Sono rozzamente ornati, come appare da quello che ho figurato (n.6, Tav. A), di lineette graffite senza alcuna cura e senza intenzione di ottenere un disegno determinato. Anch’essi sono cotti in modo imperfetto.
Probabilmente nelle tombe di Quercianella essi rappresentano quei vasetti accessorii, che per ordinario, anche negli altri sepolcri del tempo, accompagnano le urne.
VII - Altri due vasetti eguali in tutto ai precedenti, ma privi del rozzo
graffito.
VIII - Molte delle cosiddette fusaiole, fatte con terra grossolana, e quindi ingubbiate come le urne. Alcune sono anche ornate di lineette graffite, nelle quali spesso si vede la solita smaltatura bianca. Nella Tav. B ne ho figurate quattro (n.2,3,4 e 5), che rappresentano le forme più notevoli per varietà e più di frequente ripetute. .
IX - Una lama intera di spada corta, o daga, in bronzo (n.8, T av. B) senza codolo. Nella base dell’arma esistono ancora, quantunque rotti e contorti, tre chiodi, dai quali chiaramente si vede, che andava assicurata all’impugnatura come i pugnali triangolari. Tutta la lama è lunga m. 0,295 ed ha larghezza, quasi uniforme, di 32 mm fin presso la punta acuminata. Soltanto presso la base si dilata alquanto. E molto corrosa, contuttociò, in un lato almeno, si vede ben disegnato un leggiero solco, che separa la parte marginale, ovunque tagliente, dalla medesima che è un poco convessa.
Tale arma è della forma più arcaica, quasi un passaggio dal pugnale triangolare alla spada lunga. Essa ha perfetti riscontri in armi primitive delle genti italiche dell’Epoca del bronzo, e più raramente, della prima età del ferro. Anche fuori d’Italia ne furono trovate alcune eguali in tutto alla nostra e sono generalmente attribuite all’Epoca del bronzo.
X - Quattro lance di bronzo a cannone. In due la lama è a foglia di lauro
(n.6, Tav. B); e nell’altra è invece a margine serpeggiante (n.7, Tav. B).
XI - Quattro fibule della forma che i Paletnologi chiamano, tipo Certosa
(n.12, Tav. B). Una è di bronzo e le altre d’argento.
Un’altra fibula, ad arco nodoso e a doppio vermiglione (n. 11, Tav. B).
E da ultimo una sesta fibula, pure di bronzo, bellissima, coll’arco laminare
(n.9, Tav. B). L’arco ha la forma di una foglia lunga, di salice o di olivo, e inferiormente dà origine ad un filo, che ripiegandosi fa il gancio simile a quello delle fibule quadrangolari descritte. Sotto al gancio si congiunge al filo un’asticella, posta trasversalmente all’ago, ed è unita ad essa una lamina oblunga, che pare raffiguri un’altra foglia, ma è spezzata. Infine tutto l’oggetto, a quanto pare dall’insieme, rappresenta un ramoscello, cui si attaccano due foglie.
Tanto nell’asticella quanto nella lamina dell’arco si ripete uno dei consueti disegni geometrici di lineette graffite, in gran parte distrutto, per la sua estrema finezza, dalla ossidazione la fibula è in sol pezzo, non essendovi alcuna traccia di saldature; la qual cosa, se pongasi mente all’antichità dell’oggetto, ne accresce molto il prestigio artistico.
XII - Sette anelli d’argento fatti di sottile filo cilindrico. Due sono semplici, cioè da un solo giro, e chiusi; gli altri sono aperti e formati da una spirale di due o tre giri (n.10, Tav. B). Agli estremi il filo termina sempre in capocchia tondeggiante.
Non tutte le cose descritte sono tali per forma o per composizione da trovare il loro vero posto tra le anticaglie della prima età del ferro e particolarmente fra quelle, che formano l’ordinario corredo delle tombe italiche, di cui è propria l’urna tipica di Villanova.
Tali sono le fibule del tipo Certosa, reputate in generale di tempo etrusco. E credo mio debito il dichiarare, che le ho anche annoverate qui, come ritrovate coll’urne, per le assicurazioni avute dal donatore e perchè con esse era un ricordo manoscritto del defunto sig. Giorgio Gower, nel quale è detto, nel modo più esplicito, che esse erano dentro all’urne colle ceneri dell'estinto. Ed aggiunge inoltre una breve descrizione delle stesse fibule, ricordando qual’era l’uso di simili oggetti presso gli Etruschi ed i Romani. Non avendo alcuna ragione per mettere in dubbio l’asserzione del sig. Gower, che fu testimone del ritrovamento, lascio ogni commento e mi limito a constatare la novità del fatto.
Quanto alla presenza dell’argento la cosa, benchè non comune, è tuttavia meno anormale, poichè esso fu già ritrovato nella Necropoli di Villanova e in altre tombe della medesima età (G.Gozzadini: “Intorno ad alcuni sepolcri scavati nell’arsenale militare di Bologna”. Bologna, 1875, pag. 12). Conviene però avvertire, che vi figura soltanto in sul finire del periodo e forse quando già vi si innestavano elementi del periodo successivo, che sarebbe appunto quello, al quale appartengono le splendide antichità bolognesi della Certosa (Vegg. il Bull. di Corrispondenze archeologiche, 1883, pagg. 116 e seg.).
Anche nelle Necropoli primitive di Vetulonia e di Tarquinia non mancano oggetti d’argento, alcuni dei quali di moltissimo pregio. Contuttociò nelle tombe vi è sempre, come caratteristica, l’urna italica. Anche la fibula a doppio vermiglione si trova di preferenza in tempi meno antichi e fra cose attribuite alle genti galliche. L’Undset anzi la vorrebbe derivare da quelle del tipo Certosa. A parte la stranezza di simile parentela, mi pare lecito il mettere in dubbio l’opinione dell'Undset per vere ragioni archeologiche.
La fibula a doppio vermiglione fu ripetutamente trovata fra anticaglie di tempo anteriore all’etrusco e, per conseguenza, al periodo della Certosa.
Il Chierici l’ha segnalata, fra oggetti analoghi a quelli di Bismantova, nel Caucaso, dove, come dissi l’altra volta, sembra per molti particolari rappresentata un’antichità più grande di quella del vero periodo di Villanova (G.Chierici: “Nuovi oggetti del sepolcreto di Bismantova”; Bull. di Pal. it., Anno VIII, pag. 118). In Francia lo stesso fatto si verifica nei sepolcri di S. Jeane de Belleville (Congrès international d’antropologie ecc. Compte rendu de la cinquième session à Bologne, 1871, pag. 343 e seg. colla relazione di E.Chantre sull’ età del bronzo nel bacino del Rodano). In Italia diverse se ne ritrovarono con indizi della più alta antichità. Valgano ad esempio quelle del Catanzarese illustrate dall’ing. Foderaro (Foderaro: Di alcuni ornamenti preistorici in bronzo della Provincia di Catanzaro; Bull. di Pal. It., Anno X, pag. 52, con Tavole). Nulla adunque di strano, benchè il fatto sia forse da ritenersi come nuovo, che essa si sia pure ritrovata nelle tombe di Quercianella.
Tutte le altre cose descritte hanno coll’età delle urne i più sicuri rapporti la fibula n. 9 della Tav. B, benchè sia di forma assai elegante e di accurato lavoro, appartiene ad un tipo, raro molto, che il Montelius e l’Undset vorrebbero più antico della elementarissima fibula ad arco semplice. Checchè sia di ciò, mi pare utile il ricordare, che in Italia alcune fibule del genere, se non uguali in tutto, furono ritrovate nelle tombe più arcaiche di Corneto- Tarquinia, ove all’urna italica simile alle nostre si associa quella ben nota a forma di capanna, che rese celebre la Necropoli laziale di Albano. Se ne raccolse ancora qualcuna nei ripostigli di Piediluco e di Narni, i quali per antichità si possono paragonare a quello di Limone; e finalmente fu trovata a Suessola (Notizie degli scavi d’antichità; Comm. alla R. Accademia di Lincei, del Marzo 1878), a Catanzaro (Foderaro: Di alcuni ornamenti, ecc.; Bull. di Pal. It. Anno X, pag. 52) e nelle tombe più antiche delle Necropoli bolognesi.
(Pio Mantovani: “Il Museo Archeologico e Numismatico di Livorno”, 1892)
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